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LIBERALIZZAZIONI SÌ, MA PER TUTTI CONCORRENZA SÌ, MA COME IN EUROPA
19-12-2011
TUTTE LE VERITA’ SULLE LIBERALIZZAZIONI
 ·         In questi anni la distribuzione ha dimostrato di essere un settore al passo con i tempi, di evolvere seguendo le trasformazioni sociali ed i comportamenti d’acquisto dei consumatori, garantendo una presenza sempre orientata ad un pluralismo distributivo in grado di soddisfare il consumatore, sia in termini di diffusione, presenza e radicamento sul territorio, che di formati, tipologia e prezzi di vendita. E il commercio è certamente il comparto in cui hanno più fortemente operato i processi di liberalizzazione, a partire dalla prima riforma Bersani del 1998.
·         Che il settore sia già ampiamente liberalizzato lo dimostra anche l’ampio turnover di chiusure e di aperture di decine di migliaia di imprese all’anno. Nei primi nove mesi del 2011 si sono registrate oltre 33mila iscrizioni e oltre 46mila cessazioni nella distribuzione al dettaglio. Quindi, il ricambio tra imprese del commercio al dettaglio che aprono e che chiudono è elevatissimo.
·         Da una ricerca che il Cfmt (Centro di formazione management del terziario) effettua da oltre 15 anni sul mondo dei servizi emerge che il commercio al dettaglio, sia piccolo che grande, è tra i settori che ricevono il più alto gradimento da parte delle famiglie, con un ranking per il 2010 pari a 72 su 100. Invece, banche e assicurazioni raccolgono un punteggio di 61. I servizi di pubblica utilità - tra cui energia, gas, poste, uffici pubblici locali/regionali/nazionali – scendono a 59 e i trasporti – tra cui i mezzi pubblici urbani e i treni locali - a 58. Non è, dunque, un caso che i settori i cui servizi sono meno graditi alle famiglie coincidano con quelli nei quali, come puntualmente segnala l’Antitrust, esiste ancora un forte deficit di concorrenza e che andrebbero liberalizzati al più presto.
·         A giugno 2011, nella relazione annuale dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, l’ex presidente Catricalà richiamava l’attenzione sulla necessità di recuperare il tempo perduto, segnalando che “Ferrovie, gestioni autostradali e aeroportuali, governance bancaria e assicurativa restano i settori sui quali è prioritario introdurre assetti di mercato realmente competitivi che possano agevolare la ripresa della crescita”. E proprio su questo tema anche l’allora governatore Trichet e l’attuale governatore Draghi nella famosa lettera della Bce di quest’estate indirizzata al Governo italiano scrivevano della necessità di una piena liberalizzazione dei servizi pubblici locali e professionali.
·         Il sistema italiano della distribuzione commerciale, fatto di piccole, medie e grandi imprese che si confrontano in un mercato pienamente competitivo, assicura oggi ai consumatori livelli di servizio fra i più elevati in Europa: l’orario di apertura giornaliero può coprire fino a 13 ore di servizio continuato, nella fascia compresa tra le 7 e le 22; le aperture nelle giornate domenicali e festive sono mediamente 22 all’anno e, in deroga, le aperture sono sempre possibili nei centri storici, nelle località turistiche e nelle città d’arte.
·         Se dobbiamo guardare all’Europa, recepiamone in modo corretto le indicazioni: nessun limite orario giornaliero, salvaguardando il principio dell’apertura per deroga nelle giornate domenicali e festive. Come avviene, ad esempio, in Francia ed in Germania. Si è scelta, invece, la via della completa deregolamentazione dell’attività anche nelle giornate domenicali e festive. Ma non lo si fa né in Francia, né in Germania.
·         Il “sempre aperti”, ventiquattro ore al giorno e 365 giorni all’anno, è una condizione insostenibile. Insostenibile per le piccole imprese, che saranno strette nella morsa tra la rinuncia al diritto al riposo e alla vita familiare, da una parte, e la dolorosa rinuncia all’attività, dall’altra. Con il rischio, in quest’ultimo caso, di impoverire la ricchezza del modello italiano di pluralismo distributivo. Non ne guadagnerebbe la concorrenza, non ne guadagnerebbe la qualità del servizio. E il “sempre aperti” è difficilmente sostenibile anche per le grandi imprese: dovranno fronteggiare, per assicurare una simile tipologia di servizio, costi crescenti, a partire dal costo del lavoro dipendente.
·         Il senso delle liberalizzazioni dovrebbe essere quello di rendere migliore la vita dei cittadini; in altri termini di accrescerne il benessere economico. A chiunque è chiara l’agenda delle priorità d’azione, tra le quali certamente non compare l’ennesima “liberalizzazione” di facciata del settore più concorrenziale che ci sia oggi in Italia , appunto il commercio.
·         E’ oggi ormai condivisa anche dagli osservatori più miopi la necessità di affiancare al pilastro delle esportazioni quello della domanda interna, in particolare dei consumi ormai in recessione. Le incursioni nel campo della libera iniziativa commerciale non aiutano la crescita ma accrescono l’incertezza sul futuro e peggiorano le aspettative di imprese e famiglie.
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Allegati
LETTERA APERTA AI GIORNALI
LETTERA-A4.pdf

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